IL MISTERO DEL QUADRO DI
ARCIDOSSO: SIMBOLI NASCOSTI
di Claudia Cinquemani
Ad
appena un paio di chilometri dal borgo amiatino di Arcidosso in
provincia di Grosseto, si trova il Santuario della Madonna delle
Grazie detto anche “dell’Incoronata” a motivo di un'immagine
della Madonna ritenuta miracolosa.
Foto del Santuario dove è custodito il quadro- scattata da Marco Dragoni dalla Torre del Castello di Arcidosso
Il dipinto di Arcidosso
La
ricerca mi ha condotta all’Aquila nella casa medioevale di Jacopo
Notar Nanni fortemente danneggiata dal sisma del 2009 e dove
singolarmente, abbracciata dalle continue coincidenze che hanno
segnato la mia vita, avevo sostato anni prima per pranzare nel
ristorante che si trovava al suo interno. Ho saputo che l’edificio
situato nel centro storico del capoluogo abruzzese, custodiva
un'incisione, copia di una pala seicentesca descritta come “San
Giovanni,
Pier Celestino e San Luca”, dipinta da Marcantonio Franceschini,
eseguita intorno al 1688 e custodita all’interno della
chiesa di San Pietro dei Celestini a Bologna. A questo punto, più
per intuito che per razionalità sentivo di seguire la storia di
quest'opera che forse mi avrebbe fornito ulteriori dettagli sul
quadro di Arcidosso. Grazie all’aiuto della storica dell’Arte,
Rossella Foggi di Prato ho potuto osservare la riproduzione
dell’opera presente su un libro d'arte, scoprendo che il quadro di
Arcidosso era una copia posteriore e di mano diversa. Gli allievi del
Maestro Franceschini avevano prodotto negli anni a seguire molti
quadri con lo stesso tema ed ai più promettenti erano state fornite
le credenziali per accedere alle migliori accademie come quella di
San Luca a Roma. In seguito sono venuta a conoscenza del fatto che
nel 1700 era in uso da parte delle Confraternite operanti sul Monte
Amiata, commissionare copie di opere di autori apprezzati.
La Pala di Marcantonio Franceschini-Chiesa dei Celestini-Bologna
Pala del Santuario dell'Incoronata ad
Arcidosso
Dato
che la pala “amiatina”, a causa delle particolari differenze con
l'originale, era per me un enigma affascinante, ho iniziato a
lavorare proprio su queste. Osservando il quadro di Bologna, gli
angioletti presenti sorreggono in cielo gli attributi del Battista e
di San Luca mentre nel quadro di Arcidosso il vessillo del Battista è
abbandonato a terra e sono assenti il Vangelo attributo di San Luca e
il flagello della passione di Gesù. Le chiavi del papato abbandonate
sul pavimento, come simbolo di rinuncia, sul quadro di Arcidosso sono
poste sopra un vassoio che elude in maniera alquanto strana, tutti i
canoni della prospettiva. La posizione delle chiavi sarebbe invertita rispetto al simbolo della Santa Sede risultando quindi
corrispondente all'emblema del Vaticano istituito solo dopo il 1929.
Infatti nello stemma della Santa Sede, la chiave dorata che punta
verso destra allude al potere sul Regno dei Cieli e quella d'argento
a sinistra alluderebbe invece all'autorità spirituale del papato in
terra. Fu soltanto con i Patti Lateranensi dell'11 febbraio 1929 che
venne adottato l'emblema con le chiavi raffigurate come quelle che si
trovano nel quadro di Arcidosso e il pittore questo fatto non lo
avrebbe potuto sapere. Difficile pensare ad un errore da parte
dell'artista che parrebbe essere stato scrupoloso nell'uso dei
simboli. Forse potrebbe essere un messaggio ancora da svelare, un
indizio per l'osservatore.
Dipinto di Arcidosso-Piatto dove sono adagiate le chiavi papali
Stemma della Città del Vaticano
Stemma della Santa Sede
Il trono sul quale è
assisa la Madonna con bambino rappresenta la scena del Sacrificio di
Isacco ed è identico in entrambi i quadri; tuttavia in quello di
Arcidosso presenta una strana inclinazione simile all’Ara di pietra
della prima versione dei Pastori d’Arcadia di Poussin. San Luca nel
quadro di Bologna dipinge direttamente la tela mentre nel quadro di
Arcidosso presenta un'area triangolare con un punto di luce centrale
formato dal dito dell'apostolo iconografista inserito nel foro della
tavolozza. Dal fondo di questa, si irraggia un ventaglio di pennelli
che somiglia ad un fascio di luce.
I sei pennelli di San Luca
L’angioletto che regge
la tela al pittore nell’opera di Bologna è nudo mentre nella
versione “amiatina” ha una fascia azzurra trasversale dello
stesso colore dell’abito della Madonna. Totalmente assente
nell’opera di Bologna, l’agnello sacrificale, simbolo del Messia
è invece ben presente nella tela di Arcidosso, fiero, con orecchie a
punta, nell'atto di osservare la base della colonna dove è posta in
grande evidenza la data 1736 con il 6 disegnato coricato verso
destra. Curiosamente l'altezza del Monte Amiata all'epoca della
realizzazione del dipinto era stabilita con un'altezza di 1736 metri;
attualmente è stabilita in 1738 metri.
Sempre nel quadro di
Arcidosso si nota Celestino V che nell’atto di sorreggere la tiara
papale indica con il dito indice della mano destra il Giovanni
Battista.
Dopo la ripulitura,
prima dell'ultimo restauro è emersa una curiosa macchia a forma di
piede che poggia sul vassoio contenente le chiavi papali ora nascosta
da un lembo di veste rossa. Secondo la restauratrice che ha avuto in
cura l'opera si tratterebbe soltanto di una macchia di colore. Ella
però è stata gentile nell'informarmi di due strani particolari: gli
angioletti svolazzanti sarebbero forse stati aggiunti successivamente
e la tela sarebbe stata tagliata verticalmente al centro e poi
nuovamente unita prima dell'esecuzione pittorica. Personalmente
ritengo che il “piede scomparso” che toccava la chiave argento,
sia stato un tentativo di dipingere un ulteriore messaggio da parte
dell'autore, al quale è seguito un ripensamento per motivi di
prospettiva. Celestino V pesta con il piede la chiave
argentea,simbolo dell'autorità del papato in terra contrapposta a
quella aurea che rappresenta il potere sul regno dei cieli.Forse per
questo il pittore ha invertito le chiavi e posizionata quella
argentea vicina al piede scomparso del Papa aquilano. Lascio
giudicare ai lettori sulla base della foto gentilmente concessa prima
del restauro e dopo il suo intervento.
Macchia a forma di
piede dopo la ripulitura
Lembo di veste prima e dopo
il restauro
A queste mie scoperte, il 19 aprile 2013 seguì un articolo sul quotidiano "Il Corriere di Maremma" ma la scoperta fu completamente ignorata fatta eccezione per alcuni ladruncoli delle ricerche altrui che oggi si vantano di essere stati loro a ricercare e studiare il dipinto.
Decisi allora di aggiungere al mio primo libro "La luce della Dea-Viaggio tra Lamula e dintorni", questa scoperta inserendola ovviamente tra i misteri dei "dintorni" di una delle Pievi più belle della Toscana.
E' stato però solo dopo la prima edizione del mio secondo libro “Guida alla Maremma Insolita e Misteriosa” che mi sono accorta di un particolare messaggio inserito nel quadro stesso. Avevo notato che i due Santi Giovanni e Luca raffiguravano lo stesso volto in posizioni diverse come se fossero il proseguo della stessa persona o guardiani di due porte. Inoltre S. Luca toccava con il proprio alluce quello dell’angioletto che sorreggeva la tela, sfiorandosi entrambi con il ginocchio sinistro e questo fatto mi aveva fatto supporre che l'autore del dipinto avesse voluto indicare un fatto preciso.
A queste mie scoperte, il 19 aprile 2013 seguì un articolo sul quotidiano "Il Corriere di Maremma" ma la scoperta fu completamente ignorata fatta eccezione per alcuni ladruncoli delle ricerche altrui che oggi si vantano di essere stati loro a ricercare e studiare il dipinto.
L'articolo di giornale pubblicato nell'aprile del 2013
Decisi allora di aggiungere al mio primo libro "La luce della Dea-Viaggio tra Lamula e dintorni", questa scoperta inserendola ovviamente tra i misteri dei "dintorni" di una delle Pievi più belle della Toscana.
E' stato però solo dopo la prima edizione del mio secondo libro “Guida alla Maremma Insolita e Misteriosa” che mi sono accorta di un particolare messaggio inserito nel quadro stesso. Avevo notato che i due Santi Giovanni e Luca raffiguravano lo stesso volto in posizioni diverse come se fossero il proseguo della stessa persona o guardiani di due porte. Inoltre S. Luca toccava con il proprio alluce quello dell’angioletto che sorreggeva la tela, sfiorandosi entrambi con il ginocchio sinistro e questo fatto mi aveva fatto supporre che l'autore del dipinto avesse voluto indicare un fatto preciso.
Poi c'era la data 1736
con quel 6 coricato come un dito puntato verso Papa Celestino V.
Curiosamente anche i pennelli di San Luca erano 6 (cinque più quello
che il Santo tiene in mano) e allora è stato lì che si è accesa la
scintilla che mi ha fatto guardare nuovamente l'angioletto. Ho
contato le sue dita dei piedi scoprendo che invece di cinque erano
sei: ero in presenza di un' esadattilia nel quadro di Arcidosso che
oltretutto adesso svelava tre volte il numero 6.
Franco Manfredi è un ricercatore e scopritore di questo tipo di anomalie nei dipinti. Tra le sue ricerche ne ha segnalato uno che ha una certa somiglianza con la nostra pala di Arcidosso, nella specifica rappresentazione della Madonna in trono con bambino. Nel quadro di anonimo pittore forse seicentesco, collocato nella chiesa principale di Massimeno nel Trentino è la Madonna ad essere rappresentata con sei dita al piede sinistro. In origine la pala era collocata nella chiesetta, isolata in mezzo al bosco, dedicata a San Giovanni Battista.
Madonna di Massimeno (
da foto di F. Manfredi)
Quadro di Arcidosso (da foto di M.
Dragoni)
Franco
Manfredi in uno dei suoi articoli riporta che
l’esadattilia
è
un’anomalia ben conosciuta dalla scienza, anche se rara; da sempre
questa particolarità ha comunque determinato la formazione di
credenze e di superstizioni. Generalmente
in passato chi possedeva un numero di dita superiore a quello
canonico, era considerato in rapporto con le creature dell’ombra e
spesso era indicato come strega o eretico.
Da
traduzione di Elio Corti, nel libro di Samuele si legge:“Ci
fu poi ancora una battaglia a Gat. E c'era un uomo, e le dita delle
sue mani e le dita dei suoi piedi erano sei più sei, in tutto 24, e
anche lui era della discendenza di Rafa. E insultò Israele, e
Gionata, figlio di Simea, fratello di Davide, lo colpì mortalmente.
Questi quattro discendenti di giganti erano nati in Gat, dalla stirpe
di Rafa, e caddero per mano di Davide e dei suoi subordinati”.
L'area
dove sorge il Santuario dell'Incoronata ha restituito nel recente
passato alcune prove della presenza di individui di alta statura in
alcuni resti archeologici rinvenuti per caso per i quali riporto
integralmente la relazione nel mio ultimo libro “Tradizioni Magiche
in Maremma”, ma questa è un'altra storia.
Per
approfondimenti, della stessa autrice:
"Guida
alla Maremma Insolita e Misteriosa”-
pellegrinideisimboli-selfpublishing-Grosseto 2015
“Tradizioni
Magiche in Maremma”- pellegrinideisimboli-selfpublishing-Grosseto
2017
Crediti:
creazionisothisclaudiacinquemani.blogspot.it
www.acam.it/giganti/